Marco Ariano o dell’attesa

Ascoltare i lavori di Marco Ariano ci porta in una dimensione d’investigazione del suono che è un’esplorazione dell’essere e dell’esserci; un’indagine sui suoni che non appartengono al pensiero unico (musicale), all’omologazione così diffusa nel mondo della musica di ogni genere, non solo commerciale ma anche di quella che si vanta di appartenere a generi prestigiosi come il classico, il jazz, la world e la fusion etc.; il concetto stesso di genere per Ariano non ha senso, perché si è al di qua, in un’analisi della materia sonora al suo stato puro.

Le composizioni di Ariano sono uno spazio/tempo aperto, nel quale i suoni (ac)cadono, irriducibili a ogni forma e linguaggio regolamentato, stanno prima di tutte le codificazioni. I suoni di Ariano non sono ancora linguaggio ma elementi svincolati fra loro che non formano un idioma e che vivono liberamente come segnali, richiami, fremiti e gesti. Del resto, l’intendere la musica come una lingua è solo una prospettiva, legata agli studi semiologici dei decenni di metà secolo scorso, un punto di vista, fra l’altro, tortuoso perché sempre costretto a riferirsi a un’estensione metaforica. La musica, per il suo modo di essere altro, costituzionalmente differente dal linguaggio verbale, non ha alcuna necessità di essere assimilata a una lingua pragmatica, assertiva e concettuale, la musica rimanda a un pensiero che si forma con i suoni, a un pensiero in verticale che esprime ciò che il linguaggio delle parole non può dire.1

È dal 1999 che Ariano sviluppa l’idea di un teatro di eventi sonori, suoni che precipitano dai gesti e azioni che si fanno teatro della mente e del cuore. Un teatro sui generis, uno scenario delle emozioni, epifania di suoni e di trepidazioni che misteriosamente si fanno ascoltare, seguendo la performance musicale che si svolge come un rito: vi è in Ariano un aspetto mistico legato alle radici delle cose, al loro essere factum brutum, origine, principio, inizio, fondamenta (mistero e mistico hanno la stessa radice etimologica). Come dice Francesco Lazzari «La musica di Marco è una sorta di iniziazione che va compiuta in silenzio e con monastica austerità»2

Ariano va alla scoperta di quel mistero che ognuno è per se stesso, si pone in ascolto dei suoni eventuali, in attesa di quello che verrà, del destino dei suoni ch’è specchio del destino di ognuno di noi. L’adesione alla casualità professata da Cage viene declinata seguendo un’istintività e una naturalezza improvvisativa che porta Ariano a confrontarsi con le esperienze più libere del jazz; lo sguardo rivolto all’interiorità lo avvicina a Scelsi e a certi jazzisti misticheggianti, ma certo il pensiero e la prassi di Ariano sono molto primigeni.

Nell’insieme i suoni sono eccentrici, nel senso etimologico del termine ossia eccedono ogni centro, non hanno un perno di gravità ma vibrano nell’aria, senza melodie e senza metro e ritmo precisi; si presentano coagulazioni e dissolvenze impreviste, fatte di silenzio e di vibrazioni, ciò che Ariano chiama ‘mutico’ ossia quel «Qualcosa che allo stesso tempo mostra e tace, dice e nasconde, come un oracolo bizzarro che mentre suoniamo ci sottopone i suoi enigmi spingendo i nostri corpi in un divenire sonoro che ci eccede e ci rinnova».3

Nell’indagine sonora di Ariano vi è un’apertura identitaria che porta alla follia che non è stupidità ma alterazione dello status quo, stra-vaganza ovvero errare alla ricerca dell’altro, perdendo il proprio io; l’esperienza del perdersi sollecita domande.

Chi sempre va si porta dietro tutto quello che ha, anche la febbre. Va senza meta, l’unico scopo è il viaggio. Durante il tragitto inciampa in qualcosa di inatteso ed è proprio questo inciampare che apre prospettive nuove, anche a livello culturale e sociale, perché s’imbatte in volti diversi, in esperienze artistiche e spirituali differenti, in civiltà dissimili. In fondo, qual è il ruolo dell’arte in quest’epoca multiculturale e multirazziale? Facilitare l’abbraccio dei popoli. Per far questo Ariano si spoglia, opera una spoliazione esistenziale e sonora che gli permette di farsi vaso e di accogliere l’altro.

I suoni evocati da Ariano sono segreti e il segreto è cosa da svelare o da nascondere; sono un’essenza/assenza, sono latenti, nascenti. Ascoltare le performance di questo originalissimo polistrumentista è davvero un’esperienza epifanica che ci apre a suoni nuovi e a una rinnovata comprensione del nostro essere in relazione all’altro.

Renzo Cresti

1 «La musica è una riduzione rispetto al linguaggio concreto e concettuale delle parole, ma proprio questa riduzione consente un’ulteriore apertura, un’amplificazione degli aspetti emotivi e conoscitivi (non si conosce solo con la ragione ragionante ma anche con la sensibilità)», in Renzo Cresti, I linguaggi delle arti e della musica, Il Molo, Viareggio 2007, pag. 62.

2 Francesco Lazzari, note di copertina del compact-disc, Sensuali eresie.

3 Note di copertina del cd Opera Mutica.